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30 Aprile 2019Il resuscitatore, il nuovo romanzo di Lorenzo Beccati in libreria
27 Maggio 2019Lorenzo Beccati non se ne accorge, ma per almeno un quarto d’ora lo osserviamo aggirarsi per la libreria in cui si svolgerà la presentazione del suo ultimo romanzo, passando da uno scaffale all’altro: è decisamente un lettore onnivoro, pieno di interessi. Anche come scrittore spazia dalla Genova del Cinquecento a quella del Seicento e a quella di oggi, con una puntatina nella Russia del Settecento. Decisamente c’è molto da chiedergli. Per non parlare del lavoro che fa, oltre a scrivere libri...
Autore comico televisivo di programmi di culto come “Drive In”, “Striscia la notizia” e “Paperissima”, doppiatore del popolare pupazzone rosso Gabibbo e ora anche scrittore di thriller storici.
Ci riveli il segreto di questa tua personalità poliedrica?
Il mio segreto è comune a molti scrittori: è la curiosità. Inoltre, non sono attività così differenti tra loro, fanno parte dell’essere creativo. I miei libri passano tranquillamente dal genere umoristico al grottesco,al thriller storico. Quando ho una storia da raccontare lo faccio e basta, e non mi preoccupo di rimanere in un genere.
Scrivere per la televisione e scrivere per un pubblico di lettori. Qual è la differenza?
Scrivere per la televisione è un lavoro di gruppo, mentre scrivere un libro è un piacere solitario e intimo. Si è a tu per tu con il lettore, si crea una complicità. Poi c’è il fattore tempo. Nel mondo della televisione è tutto veloce, frenetico, mentre quando sono al sicuro seduto alla mia scrivania ho il tempo del mondo. Rifletto, provo, pondero, cambio, senza avere sul coppino il fiato - corto, peraltro - della messa in onda.
Spessissimo le inchieste e i servizi di “Striscia la notizia”, sono delle vere e proprie notizie di reato, dopo il passaggio televisivo, c’è un prosieguo che noi non vediamo?
Normalmente no, denunciamo e poi seguiamo il caso per documentarne l’evoluzione e rendiamo edotti i nostri telespettatori nei mesi o addirittura negli anni, perché quando si parla di processi in Italia i tempi sono abbastanza lunghi, ma se abbiamo notizie ne diamo immancabilmente contezza a chi ci segue. Molto spesso invece siamo noi in prima persona a venir chiamati in tribunale perché di denunce ce ne sono a centinaia, ma finora ne siamo usciti indenni. I tuoi libri sono ambientati in una Genova antica molto affascinante e descritta nei minimi particolari. La tua cultura storica è frutto di una vecchia passione personale o di un lavoro di ricerca e documentazione svolto per dare un background credibile ai tuoi romanzi?
La storia è una passione totale e non so quando ho preso il morbo. La curiosità di sapere chi erano e come si comportavano quelli che sono stati prima di noi alberga da sempre in me. Per i miei libri consulto archivi, biblioteche, musei, documenti, sentenze di tribunali, diari editi e non, testi dell’epoca, quadri. Sì, consulto molto i quadri poiché mi forniscono informazioni esatte sulla vita spicciola. Cosa mangiavano, come vestivano, atteggiamenti dei nobili e del popolo… Senza contare che rivangando la storia si scoprono succulente ghiottonerie da scrittore. E poi m’interessa il presente, e quello che siamo ora viene da lontano.
Il Guaritore di maiali è un personaggio assolutamente nuovo nel panorama narrativo italiano. Da dove nasce questa idea?
L’idea nasce dal mio primo ricordo, il più recondito. Quando stavo apprendendo i rudimenti del camminare, i miei genitori, per andare a lavorare nei campi, mi chiudevano nella porcilaia fino a sera, “affidandomi” alle cure di due maiali. È una storia vera e non una trovata. Forse per gratitudine verso i porci per non avermi mangiato, ho pensato d’inventare un indagatore che avesse con loro un rapporto speciale tanto da curarli e comprenderli. Lo stesso rapporto che ho avuto io con i maiali.
Oltre alla saga del Guaritore di maiali, c’è quella di Pietra, la guaritrice. Nel tuo L’ombra di Pietra la protagonista tende ad allontanare l’attenzione da sé, a nascondere il suo potere (intellettuale) e ad attribuire tutto il merito alla bacchetta ‒ che peraltro sappiamo essere bastarda e ingannatrice. Anche facendo un confronto con la realtà che quotidianamente vedi, quando è cambiata se è cambiata la situazione della donna dal Seicento a oggi?
Beh, io spero proprio di sì: anzi sono sicuro che è cambiata, enormemente. Non studiavano, anzi veniva loro proprio impedito, se vai a vedere quante scrittrici pittrici o donne d’arte c’erano all’epoca, vedrai che erano pochissime, viene in mente solo la Gentileschi ed è strano, no? È difficile credere che non ci fossero donne di talento esattamente come oggi, è chiaro che oggi si studia, si lavora ma allo stesso tempo far carriera per una donna è molto difficile, lo vediamo in politica nei ruoli direttivi, quindi è cambiata la situazione ma la discriminazione esiste ancora eccome. Sono convinto che molte donne nascondano i loro talenti perché ancora conviene così. Le donne sono ancora sfruttate, ci sono femminicidi, che è un’assurdità oggi come allora. Ma secoli fa era tutto tollerato, oggi per fortuna no.
I temi che tratti sono molto duri e la condanna sociale molto forte: come mai?
Io credo nell’uguaglianza. Sono convinto che tutti debbano avere le stesse opportunità. Mi fanno inorridire la sopraffazione e le caste e le condanno in modo duro senza mezzi termini. Non credo nella violenza seppur rivoluzionaria ma nell’urlo d’indignazione. Fai un lavoro che occupa gran parte della giornata. Quando ti dedichi alla scrittura dei romanzi?
La scrittura di un libro è disciplina. Scrivo di notte, appunto passaggi e idee ovunque mi trovi. Poi, d’estate, quando Striscia va in letargo, mi dedico anima e corpo al romanzo del momento. Ovviamente sottraendo tempo al riposo e alle vacanze. Per me scrivere è faticoso, ma è un sacrificio cui non saprei rinunciare.
Pubblichi sempre libri con titoli stranissimi: come nascono?
Se sono bei titoli, ho talento perché mi escono con naturalezza. Se sono brutti, evidentemente non riesco a fare meglio. Devo dire che scelgo con cura i titoli. Mi piace che spieghino quel tanto, che incuriosiscano quel tanto e che celino quanto basta. Titolo e incipit sono da tenere in grande considerazione. Troppo spesso capita che un pessimo titolo penalizzi un libro. E ancora più disastroso è un inizio fiacco. Io ho la mia vasta libreria piena di libri con la sovraccoperta infilata nelle prime quindici, venti pagine. La mia curiosità non è andata oltre.
Quali sono gli scrittori ai quali guardi con maggiore attenzione?
Sono molti gli scrittori che amo. Francesco Biamonti, Jean Giono, Sandor Marai, Derek Walcott, Erri De Luca, Nico Orengo… E’ meglio che termini qui, altrimenti, pensandoci, dovrei continuare per intere pagine.
Autore comico televisivo di programmi di culto come “Drive In”, “Striscia la notizia” e “Paperissima”, doppiatore del popolare pupazzone rosso Gabibbo e ora anche scrittore di thriller storici.
Ci riveli il segreto di questa tua personalità poliedrica?
Il mio segreto è comune a molti scrittori: è la curiosità. Inoltre, non sono attività così differenti tra loro, fanno parte dell’essere creativo. I miei libri passano tranquillamente dal genere umoristico al grottesco,al thriller storico. Quando ho una storia da raccontare lo faccio e basta, e non mi preoccupo di rimanere in un genere.
Scrivere per la televisione e scrivere per un pubblico di lettori. Qual è la differenza?
Scrivere per la televisione è un lavoro di gruppo, mentre scrivere un libro è un piacere solitario e intimo. Si è a tu per tu con il lettore, si crea una complicità. Poi c’è il fattore tempo. Nel mondo della televisione è tutto veloce, frenetico, mentre quando sono al sicuro seduto alla mia scrivania ho il tempo del mondo. Rifletto, provo, pondero, cambio, senza avere sul coppino il fiato - corto, peraltro - della messa in onda.
Spessissimo le inchieste e i servizi di “Striscia la notizia”, sono delle vere e proprie notizie di reato, dopo il passaggio televisivo, c’è un prosieguo che noi non vediamo?
Normalmente no, denunciamo e poi seguiamo il caso per documentarne l’evoluzione e rendiamo edotti i nostri telespettatori nei mesi o addirittura negli anni, perché quando si parla di processi in Italia i tempi sono abbastanza lunghi, ma se abbiamo notizie ne diamo immancabilmente contezza a chi ci segue. Molto spesso invece siamo noi in prima persona a venir chiamati in tribunale perché di denunce ce ne sono a centinaia, ma finora ne siamo usciti indenni. I tuoi libri sono ambientati in una Genova antica molto affascinante e descritta nei minimi particolari. La tua cultura storica è frutto di una vecchia passione personale o di un lavoro di ricerca e documentazione svolto per dare un background credibile ai tuoi romanzi?
La storia è una passione totale e non so quando ho preso il morbo. La curiosità di sapere chi erano e come si comportavano quelli che sono stati prima di noi alberga da sempre in me. Per i miei libri consulto archivi, biblioteche, musei, documenti, sentenze di tribunali, diari editi e non, testi dell’epoca, quadri. Sì, consulto molto i quadri poiché mi forniscono informazioni esatte sulla vita spicciola. Cosa mangiavano, come vestivano, atteggiamenti dei nobili e del popolo… Senza contare che rivangando la storia si scoprono succulente ghiottonerie da scrittore. E poi m’interessa il presente, e quello che siamo ora viene da lontano.
Il Guaritore di maiali è un personaggio assolutamente nuovo nel panorama narrativo italiano. Da dove nasce questa idea?
L’idea nasce dal mio primo ricordo, il più recondito. Quando stavo apprendendo i rudimenti del camminare, i miei genitori, per andare a lavorare nei campi, mi chiudevano nella porcilaia fino a sera, “affidandomi” alle cure di due maiali. È una storia vera e non una trovata. Forse per gratitudine verso i porci per non avermi mangiato, ho pensato d’inventare un indagatore che avesse con loro un rapporto speciale tanto da curarli e comprenderli. Lo stesso rapporto che ho avuto io con i maiali.
Oltre alla saga del Guaritore di maiali, c’è quella di Pietra, la guaritrice. Nel tuo L’ombra di Pietra la protagonista tende ad allontanare l’attenzione da sé, a nascondere il suo potere (intellettuale) e ad attribuire tutto il merito alla bacchetta ‒ che peraltro sappiamo essere bastarda e ingannatrice. Anche facendo un confronto con la realtà che quotidianamente vedi, quando è cambiata se è cambiata la situazione della donna dal Seicento a oggi?
Beh, io spero proprio di sì: anzi sono sicuro che è cambiata, enormemente. Non studiavano, anzi veniva loro proprio impedito, se vai a vedere quante scrittrici pittrici o donne d’arte c’erano all’epoca, vedrai che erano pochissime, viene in mente solo la Gentileschi ed è strano, no? È difficile credere che non ci fossero donne di talento esattamente come oggi, è chiaro che oggi si studia, si lavora ma allo stesso tempo far carriera per una donna è molto difficile, lo vediamo in politica nei ruoli direttivi, quindi è cambiata la situazione ma la discriminazione esiste ancora eccome. Sono convinto che molte donne nascondano i loro talenti perché ancora conviene così. Le donne sono ancora sfruttate, ci sono femminicidi, che è un’assurdità oggi come allora. Ma secoli fa era tutto tollerato, oggi per fortuna no.
I temi che tratti sono molto duri e la condanna sociale molto forte: come mai?
Io credo nell’uguaglianza. Sono convinto che tutti debbano avere le stesse opportunità. Mi fanno inorridire la sopraffazione e le caste e le condanno in modo duro senza mezzi termini. Non credo nella violenza seppur rivoluzionaria ma nell’urlo d’indignazione. Fai un lavoro che occupa gran parte della giornata. Quando ti dedichi alla scrittura dei romanzi?
La scrittura di un libro è disciplina. Scrivo di notte, appunto passaggi e idee ovunque mi trovi. Poi, d’estate, quando Striscia va in letargo, mi dedico anima e corpo al romanzo del momento. Ovviamente sottraendo tempo al riposo e alle vacanze. Per me scrivere è faticoso, ma è un sacrificio cui non saprei rinunciare.
Pubblichi sempre libri con titoli stranissimi: come nascono?
Se sono bei titoli, ho talento perché mi escono con naturalezza. Se sono brutti, evidentemente non riesco a fare meglio. Devo dire che scelgo con cura i titoli. Mi piace che spieghino quel tanto, che incuriosiscano quel tanto e che celino quanto basta. Titolo e incipit sono da tenere in grande considerazione. Troppo spesso capita che un pessimo titolo penalizzi un libro. E ancora più disastroso è un inizio fiacco. Io ho la mia vasta libreria piena di libri con la sovraccoperta infilata nelle prime quindici, venti pagine. La mia curiosità non è andata oltre.
Quali sono gli scrittori ai quali guardi con maggiore attenzione?
Sono molti gli scrittori che amo. Francesco Biamonti, Jean Giono, Sandor Marai, Derek Walcott, Erri De Luca, Nico Orengo… E’ meglio che termini qui, altrimenti, pensandoci, dovrei continuare per intere pagine.